Vi è una parte della fotografia contemporanea che si pone come una pratica e uno sguardo radicato nella condizione umana, nella sua spazialità e nelle relazioni che essa intrattiene con la memoria e l’identità. A questo tipo di ricerca si ascrive la fotografia di viaggio, il reportage e la riflessione sugli spazi urbani, tutti tratti del fotografare contemporaneo che cercano di cogliere l’uomo e le sue relazioni in un contesto più ampio, cercando di trasmettere la sorpresa dell’estraneità e la gioia della familiarità nelle immagini, che lo scatto e lo sguardo del fotografo restituiscono.
Molti giovani fotografi tentano negli ultimi anni di fare propria questa impostazione, appropriandosi (consapevolmente o inconsapevolmente) la lezione di maestri come Steve Mc Curry: Emanuele Selva è uno di questi.
Il giovane artista torinese scopre la fotografia nell’infanzia: nella prossimità con le attività paterne di un fotografare portato avanti in camere oscure domestiche da cui escono immagini in bianco e nero capaci di fissare ricordi, affetti ed emozioni.
La fotografia diventa così una passione che ha il sapore delle “piccole cose” di gozzaniana memoria, che si radica nella quotidianità e nel tentativo di tenere assieme uno sguardo sul passato e lo stupore dell’alterità e della contemporaneità. Nello stesso tempo lo sguardo del fotografo si getta avanti alla ricerca delle meraviglia nelle cose che egli incontra in altri contesti umani, naturali ed urbani.
L’opera di Selva si tinge pertanto di un forte valore narrativo, che in qualche modo forza il cliché stereotipale delle “immagini da cartolina”, al fine di restituire lo stupore innanzi alle cose.
La narrazione articola in questo modo la ricerca di una bellezza che si nasconde nelle piccole cose e si dà negli scorci del tessuto metropolitano, della natura o delle relazioni umane. La particolare attenzione alla spazialità architettonica e ai luoghi del vivere metropolitano, a causa di quella deformazione nello sguardo che solo un architetto di formazione può avere, si presenta come una sintesi perfetta di questa disposizione ad unire presenza antropica, spazialità urbana e ricerca sull’identità e memoria. Le immagini, attraverso la valorizzazione della presenza umana spesso mediata da quelle “piccole cose”, sono in grado di restituire un rapporto equilibrato tra persona-spazio, persona-abitato, memoria-vita vissuta che restituisce il tenero stupore di luoghi da sempre conosciuti grazie alla presenza di tracce di un’umanità in cui tutti si possono riconoscere.
Che siano le strade di un quartiere torinese, immagini iconografiche dal vago riferimento stereotipale, ritratti o foto di viaggi, le foto di Selva articolano comunque sempre in una narrazione che oscilla tra le piccole cose che parlano della presenza dell’uomo e i grandi spazi in cui la vicenda umana si articola o si vorrebbe porre. È come se lo sguardo del fotografo-architetto individuasse nella misura, nelle proporzioni e nel rapporto scena-presenza antropica
la grammatica per rendere lo stupore davanti alla bellezza del quotidiano.